lunedì 15 febbraio 2010

Taccuino e conti in rosso, la vita agra dei precari

Co-co-co, co-co-pro, freelance, collaboratori a pezzo. Tra compensi imbarazzanti e contratti inesistenti si gioca la vita dei precari del giornalismo.

Una vita frenetica, super flessibile, senza garanzie e prospettive, scandita dal ticchettio della tastiera. Il kit base di un collaboratore è presto fatto: taccuino sempre a portata di mano, pronto ad essere utilizzato quando viene richiesto, telefono acceso notte e giorno, massima disponibilità negli orari e negli spostamenti. Quando il cellulare squilla, bisogna correre: c’è un’intervista da fare al telefono, a proprie spese, una conferenza da seguire, un pezzo da scrivere, spesso di fretta.
Il motore che aziona un precario è la passione per il mestiere.
La benzina è la speranza che un giorno, chissà quando, arrivi un contratto.
E se firmarlo è già normalmente un caso eccezionale, con la crisi l’assunzione diventa un miraggio. Il più delle volte si rimane parcheggiati in un giornale o in un qualunque altro mezzo di informazione per anni prima di avere un riconoscimento contrattuale. Nel frattempo si campa con poco o nulla: i più fortunati hanno un fisso mensile (che varia dai 400 ai 1000 euro lordi), la maggior parte dei collaboratori viene pagato a pezzo, con un compenso che oscilla tra i 4 e i 25 euro. Una miseria a cui vanno tolte le spese – elevate - di telefono e trasporti. Eppure, la maggior parte dei giornali viene firmato dai precari: a loro spetta il compito di trovare le notizie, seguire settori fondamentali, riempire le pagine, gestire i rapporti con le fonti. Il più delle volte i collaboratori hanno a tutti gli effetti un rapporto di lavoro subordinato, ma a livello salariale non sono riconosciuti come dipendenti. E se c’è una crisi o un momento di difficoltà, sono loro per primi a doversene andare.
Nessuno protegge chi non è assunto: nelle trattative troppo spesso i Cdr non tutelano i collaboratori, e non vi sono ammortizzatori sociali per questa categoria di giornalisti.
Per denunciare questa situazione, difendere i diritti dei lavoratori e ottenere un riconoscimento e un ruolo nelle trattative con gli editori, i collaboratori (o freelance che dir si voglia) si stanno organizzando: in tutta Italia stanno nascendo coordinamenti che riuniscono i precari dell’informazione, spinti dalla necessità di una forte azione sindacale per ottenere regole precise, evitare gli abusi e lo sfruttamento. In Emilia-Romagna è nato il Coordinamento giornalisti freelance, in collaborazione con l’Aser e l’Ordine regionale dei giornalisti. La sigla è ancora provvisoria: gli iscritti al Coordinamento hanno lanciato sul social network Facebook un concorso per trovare un nuovo nome (“La caccia al nome”) all’organismo appena nato.
Gli obiettivi sono invece già ben delineati: costituire una voce di rappresentanza forte, raccogliere e far circolare informazioni sul mondo e le condizioni di lavoro del precariato giornalistico, facilitare l’erogazione di servizi ed assistenza (in campo sindacale, contrattuale e legale), contando sulla collaborazione degli organismi di categoria e diventare una rete di collegamento tra i soggetti coinvolti (collaboratori, editori, altri coordinamenti italiani, sindacato e Ordine). Fin dai primi incontri, tra gli iscritti sono emerse alcune esigenze: prima tra tutte quella di tamponare le spese. Per questo il Coordinamento ha già contattato alcune compagnie telefoniche per tentare di ottenere tariffe agevolate. Si sono poi svolte riunioni nelle province emiliano-romagnole (finora a Piacenza, Parma e Ferrara), per coinvolgere tutti i precari. Il 24 novembre scorso si è infine tenuto a Roma un importante convegno sulle condizioni del lavoro autonomo, a cui hanno partecipato i vertici della Fnsi e alcuni membri dei vari coordinamenti di freelance italiani. Dall’incontro è emersa la volontà del sindacato di rimboccarsi le maniche per tutelare i diritti dei collaboratori, ad iniziare da una paga dignitosa.

Un primo, piccolo passo per il mondo dell’informazione, un grande passo per chi ci lavora da precario.

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