venerdì 25 febbraio 2011

Tra master e precariato, la vita impossibile dei neogiornalisti

Cari lettori, pubblichiamo qui un articolo apparso la settimana scorsa su La Stefani, la rivista della scuola di giornalismo di Bologna che racconta le fatiche dei ragazzi che terminato il master in giornalismo affrontano il duro mondo del lavoro.
Tra pezzi a 10 euro nei giornali locali e esperienze da freelance a limiti della sopravvivenza, questo articolo conferma come anche le scuole continuino a sfornare manovalanza precaria per l'editoria, in un mercato dove ormai anche la preparazione conta assai poco.
Leggi l'articolo di Giovanni Stinco


3 commenti:

  1. Io sono uno di quelli che ha avuto l'esperienza peggiore. Ho fatto la Scuola pensando che servisse a qualcosa. Nei fatti si è rivelata una fabbrica di praticanti. Negli stage, se va bene, ti fanno fare mille cose, trattandoti come un idiota. Il peggio, però, è dopo. I giornali se hai fatto lo stage per loro continuano a considerarti uno stagista a vita. Che anzi deve ringraziare se ti pagano e se addirittura riesci ad arrivare a 400 euro al mese. Meno le spese di telefonino, meno la benzina del motorino, meno il mangiare fuori. Meno, soprattutto, la dignità. Io, dopo esser stato preso in giro per un anno con promesse di fissi che molti vedono come astronomici (1.000 euro al mese sarebbero tanti?), ho deciso di lasciare. Preferisco cercare un lavoro, sempre in questo campo, che sia riconosciuto un minimo. Ho preferito restare a casa mentre molti si sbranano per 6 euro lordi a pezzo. Ho una dignità, ho trent'anni non sono un bambino da trattare a piedi in faccia ma chiamare alle due di notte (e il primo maggio e a pasqua) se serve. Ora, forse, ho trovato qualcosa e l'ho fatto da solo. Senza agganci. Speriamo bene. Di una cosa sono certo, però, se avessi continuato a scrivere a queste condizioni solo per il PRESTIGIO e il NOME del giornale, fra dieci anni mi sarei fatto schifo.

    Giuseppe Cucinotta

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  2. Appunto... come questo collega centinaia di altri. Scusate se sono inopportuno, ma esattamente a che serve il coordinamento Free Ccp, ad incazzarsi o sbaglio? Mi piacerebbe che si parlasse di come si muove questo coordinamento (se si muove) a fronte di simili situazioni. Altrimenti se è solo per mantenere in contatto i giornalisti precari che si leggono a vicenda sul blog ok, perfetto. Ma è un'altra cosa.

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  3. serve a incazzarsi e a ricordarsi che si è nel giusto a essere incazzati, e a non lasciarsi deprimere e piangere di nascosto per le inchiappattate che prendimao sul lavoro, il che è già tanto. Serve a ricordarsi che siamo in tanti, che non tutti siamo dei bastardi pronti a farsi le scarpe l'uno con l'altro, che siamo persone, prima che schiavi, sempre.

    Antonella
    Poi oltre il lamento c'è il fare: i freeccp hanno eletto - graie ai tanti che in noi credono - rappresentanti nell'Ordine, nel sindacato nazionale, lo faranno nel sindacato regionale. Cosa trovano queste persone arrivate lì, nei posti deputati a fare qualcosa di concreto per i giornalisti come noi? Trovano un muro e stanno lì a sbattere la testa, la propria testa, finchè 'sto muro non si abbatte.
    Bisogna cambiare la forma mentis alle persone, che è un processo lunghissimo e faticosissimo.
    Ma noi si sta testa bassa a lavorare per questo (oltre che il lavoro vero e proprio di gironalista, si intende). Non so se è abbastanza, so che non è mai stato fatto finora, che siamo il primo settore a farlo e ci stiamo mettendo in gioco, mettendoci la faccia, beccandoci denunce, rischiando di persona, perchè crediamo che o ci si prova così, o si muore e si va tutti a lavarare in pizzeria

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