mercoledì 5 maggio 2010

Se scrivi ti rovino

Cari colleghi/e, pubblichiamo una testimonianza sui rischi che comporta fare informazione in Italia, soprattutto per chi la fa autonomamente. Leggete, leggete!
Se per ripensare a fare giornali occorre fare gli anticorpi ai ricatti: "Se scrivi ti rovino"
di Giovanni Vignali
In un recente intervento dal titolo “Facciamo un patto. Ricominciamo a pensare giornali” Pietro Orsatti ha tratteggiato quello che potrebbe diventare, molto presto, un nuovo tipo di strumento informativo che dal formato cartaceo va estendendosi al web, al citizen journalism, ai blog. In un rapporto di circuitazione delle notizie (da un lato) e delle opinioni (dall’altro) che permetta di raggiungere il maggior numero di persone possibili, uscendo dai particolarismi che ogni segmento ha sinora rivendicato gelosamente come propri, considerando fonte d’inquinamento il mischiarsi con altre forme di comunicazione/informazione.



Siccome il patto mi sembra ambizioso, e nello sforzo del “ricominciare a pensar giornali” credo che possa essere utile che ognuno dia il proprio piccolo contributo, provo allora a raccontare un episodio che mi ha riguardato personalmente, che penso rappresenti bene uno dei principali rischi ai quali si va incontro quando ci si imbarca nell’avventura di fare informazione in Italia.I fatti.Il 10 marzo 2006 scrivevo un’inchiesta di copertina per un settimanale nazionale intitolata “Il maraffare”, in cui rendevo noti i termini di un’inchiesta giudiziaria sull’inquinamento del mare calabrese e le ipotesi di reato avanzate dagli inquirenti verso un gruppo di politici e amministratori della Regione (ma non solo) per come era stata gestita l’emergenza ambientale e la realizzazione dei depuratori in quella terra.La reazione. Uno di questi signori, sentendosi diffamato dal contenuto del pezzo, avviava causa civile di risarcimento danni nei miei confronti. La cifra che mi veniva chiesta (unitamente all’editore e al direttore del settimanale) era, per così dire… commisurata all’onorabilità ritenuta lesa in modo improprio dall’articolo. Tenetevi forte: mi venivano chiesti 4 milioni 4 di euro, 8 miliardi delle vecchie lire, per dirla con Bonolis.La sentenza.In questi giorni il tribunale di Roma si è espresso. La domanda del manager è stata rigettata. Nel dispositivo si ricordano i tre cardini a cui il lavoro di un giornalista si deve attenere, nel momento in cui riferisce di fatti, anche i più clamorosi: 1) verità (e comunque accertamento della stessa); 2) oggettivo interesse della notizia; 3) continenza, ovverosia obiettività nel riferire quanto avvenuto, evitando commenti e apprezzamenti non conformi alla realtà della vicenda.Al giudice bastano quattro pagine per spiegare che la notizia dell’inchiesta sull’inquinamento del mare calabrese era senz’altro di pubblico interesse. Che l’articolo incriminato si limitava a riportare il contenuto degli atti depositati (e quindi pubblici); che la notizia era stata accuratamente verificata e si rifaceva a un fatto effettivamente avvenuto (l’avvio delle indagini da parte degli inquirenti); che la forma dell’esposizione si manteneva entro i limiti dell’obiettività, senza enfatizzare le cose, né anticipava fasi ulteriori e successive del processo, anticipando sentenze o condanne.Il giudice a un certo punto scrive: “Orbene, il contenuto dell’articolo ha sicuramente una portata fortemente lesiva dell’onorabilità dell’attore e della sua immagine di uomo e servitore dello Stato attesa la gravità oggettiva dei fatti riportati, ma esso non è frutto dell’immaginazione del giornalista, bensì si fonda su quanto risulta dai predetti provvedimenti giudiziari, provvedimenti che però, come chiarisce da subito il giornalista, riguardano un’indagine ancora tutta da dimostrare…”.La morale: queste 4 pagine arrivano dopo 4 anni, e smontano una richiesta di risarcimento danni di 4 milioni di euro. Per chi crede alla numerologia forse tutto questo rincorrersi di cifre avrà un significato particolare. Nel ripensare a fare giornali più modestamente mi limito a sottoporvi… 3 questioni.1) Chi si occupa di cronaca giudiziaria nei prossimi anni dovrà armarsi di buoni avvocati e possibilmente disposti a credere in lui, altrimenti le spese processuali potrebbero seppellirlo. Anche se alla fine la sentenza sarà a suo favore, quanto avrà speso nel corso del tempo farà sì che non si azzardi mai più a riprovare a fare un’inchiesta in tutto il resto della vita.2) L’editore che decidesse di pubblicare articoli scomodi dovrà avere a propria volta nervi saldi e non essere a rischio infarto, perché basterà un colonnino sbagliato per chiedergli milioni e milioni di euro, come il signor Bonaventura del Corrierino dei piccoli.3) Questi signori non sono, in fondo, granché interessati all’esito delle loro cause civili di risarcimento danni. Il vero obiettivo è bloccare l’informazione, anche quando questa è vera, accertata, di pubblico interesse e scritta in modo conforme. Per questo sparano cifre astronomiche: per intimidire il giornalista, far paura al suo direttore e consigliare all’editore di isolarlo, smetterla con notizie che in fondo portano solo guai. Chi è disposto a rischiare tutto questo, a non farsi impaurire, alzi la mano e si prepari alla battaglia, ma sappia che è una sfida impari e dura. E che, alla fine, se anche la sentenza darà ragione al giornalista e torto al “servitore dello Stato” (come citato nella sentenza che vi ho riportato) quest’ultimo, quando condannato al pagamento delle spese processuali, dovrà al massimo sborsare alcune migliaia di euro. Dopo avere tenuto sotto quello che a ben vedere assomiglia molto a un ricatto - “se scrivi, anche la verità, tento di rovinarti” – persone che hanno semplicemente fatto il loro dovere (perché tale è informare) in modo corretto.Ps: visto che la moda di citare giornalisti per milioni di euro è molto in voga di recente (ragion per cui ho deciso di scrivere queste righe: mi sembra infatti sempre più un tema di interesse… pubblico e diffuso), ecco un buon modo calabrese per farsi gli anticorpi. Dedicato a chi fosse incappato in tale sventura, per evitare di sognarsi ogni notte ridotto sul lastrico e farsi travolgere da attacchi di panico, ansia e quant’altro. Quando mi arrivò a casa il foglio con la richiesta di 4 milioni di euro telefonai a una collega: “Pronto? Sai… mi ha chiesto 4 milioni di euro”. “Solo 4? A me ne ha chiesti 10!”. “Come 10, 10 milioni di euro?!? Ma come fai, come farai?”. “Beh, che devo fare? Semplice… non ce li ho!”.

Nessun commento:

Posta un commento